Neuroestetica, connubio tra mente e arte

Nel 1994, sulla prestigiosa rivista di neurologia “Brain”, l’artista Mathew Lamb e il professore di neurobiologia Semir Zeki firmarono l’articolo “The Neurology of Kinetic Art “, in cui per la prima volta l’arte veniva criticata da un punto di vista scientifico e si decretava la nascita di una nuova disciplina, la neuroestetica, incentrata sull’analisi dell’organizzazione del cervello visivo, in cui l’artista era elogiato come “inconsapevole neurologo” a causa della stimolazione del cervello visivo da parte delle opere d’arte stesse.
La neuroestetica è dunque una nuova disciplina che trae ispirazione dall’estetica tradizionale, ma che nasce dalla sinergia tra arte e neuroscienze. Semir Zeki, professore di neurobiologia all’University College di Londra, è universalmente riconosciuto come il padre della neuroestetica, in quanto ha svolto la maggior parte delle sue ricerche sul mondo delle immagini, credendo che i meccanismi della percezione e della cognizione umana possano essere studiati anche attraverso le opere d’arte; nel 1999 ha pubblicato “La visione dall’interno “, testo in cui invita i neurobiologi a indagare l’arte per poter comprendere il funzionamento cerebrale.
Le prime indagini neuroestetiche si sono sviluppate partendo dalla ricerca scientifica e dalla diagnosi patologica, sottoponendo all’osservatore le opere d’arte come se fossero test fisiologici e comportamentali per comprendere i meccanismi biologici dietro le emozioni e l’apprezzamento estetico. La neuroestetica vede quindi l’opera d’arte come un oggetto, propone ricerche sul meccanismo di percezione alla base della visione e dimostra il modo in cui gli oggetti stimolano il cervello visivo.

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