Le neuroscienze per incentivare il potenziale nascosto

Il rapido successo e il fascino delle scoperte scientifiche, hanno creato non solo la credibilità delle scienze del cervello, ma anche un paradigma esplicativo più generale, che va oltre lo stretto ambito fisiologico e medico.

Le neuroscienze, ovvero quella parte della ricerca che si concentra sulle basi biologiche del pensiero, costruiscono un individuo staccato dalle sue relazioni perché la spiegazione dell’azione passa da ciò che avviene all’interno del sistema nervoso di ciascuno. In tal modo emergono importanti implicazioni sociali. Per esempio, di fronte al disagio del lavoratore all’interno di un’organizzazione, è preferibile trattare il singolo con uno psicofarmaco che provare a cambiare la struttura o i rapporti di potere.

 

C’è di più

Le neuroscienze trovano, assecondano e rafforzano (dandogli una giustificazione scientifica) il modello sociale dell’autonomia personale e dell’individualismo democratico, che esalta la responsabilità della persona e nello stesso tempo le mette pressione perché sia “capace” e “creatrice” di ricchezza e di stili di vita.

La sollecitazione a essere “produttivi” senza dipendere o fare affidamento sugli altri, sfrutta l’ideale di potenziale nascosto che propagandano le stesse neuroscienze dove, ha un ruolo importante la costante possibilità di cambiare e progredire.

 

Un esempio: l’approccio all’Autismo 

L’esempio più chiaro è quello del nuovo approccio all’autismo, oggi uno dei disturbi più temuti, che si manifesta, tra l’altro, con una difficoltà di comunicazione e di sintonia emotiva con gli altri. Ebbene, a partire dalla vicenda di Temple Grandin, la scienziata colpita da sindrome di Asperger che ha fatto una battaglia per la cosiddetta neurodiversità, si evidenzia il modo in cui la descrizione neuroscientifica della malattia possa portare a rivendicare la propria condizione patologica come una differenza positiva e una sfida che si può vincere. In questo senso, il potenziale nascosto, rappresenta la traduzione dell’imperativo efficientistico – «aiutati da solo perché nessuno altro lo farà» – rivestito dall’autorevolezza che ha acquisito la ricerca sul cervello.

Un approccio scientifico alla malattia mentale, che diventa quindi cerebrale, ribalta la percezione da “colpa” a disordine organico.

 

Tratto da: Andrea Lavazza, Elzeviro. Le neuroscienze e le risorse nascoste della persona, Avvenire.it

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